“Mille anni che sto qui”

Immagini ed immaginari permanenti, indissolubili. “Mille anni che sto qui” – titolo del libro di Mariolina Venezia che mi ha ispirata – si fa vivo e vero.

Una identità collettiva radicata e difficile da modificare.

È la sensazione intima che da Lucania ’61 tutto sia immutato. Una narrazione visiva, verbale e scritta che si fa stereotipo. Un racconto – quello di Carlo Levi – originariamente autentico, personale e percettivo che diventa cliché.

Abitudine visuale.

Nel cercare questo racconto, nell’attesa attiva che qualcosa accendesse la mia attenzione mi sono imbattuta in un post su Instagram, lo spazio digitale votato alla fotografia, al momento, all’istantaneità, di Pierangelo Laterza che mi ha catapultata nella terribile canicola di luglio.

Strangers and strangeness

“realizzata da Porta Cœli Foundation e curata da Donato Faruolo, è una doppia mostra di reportage di fotografia in Basilicata interconnessa con una doppia installazione architettonica sulle forme delle liturgie sociali in epoca di distanziamento tra i corpi. Entrambe le vicende raccontano di modalità di superamento del senso di estraneità: la fotografia di reportage come strumento utilizzato dallo sguardo fotografico per penetrare nelle maglie di una società che gli è estranea e riportare a beneficio collettivo la singolarità di una densa esperienza relazionale.”

Eccolo il mio Linguaggi, l’intuizione che cercavo.

Lo sguardo sul luogo che abito che talvolta percepisco falsato.

Pierangelo Laterza e alcuni altri fotografi lucani, citati nel catalogo di Strangers and strangeness, ci offrono quello sguardo originale di cui oggi abbiamo – ho – fortemente bisogno. Una necessità che risiede in uno spazio intimo, lontano dalla visione turistica e turisticizzata dei luoghi.

Una indagine e una rappresentazione territoriale altre.

Quei “Mille anni che sto qui” libro in cui Mariolina Venezia ci racconta quello spazio senza tempo.

No. Quel tempo serve, è necessario. Questo dannatissimo tempo in cui sembra, talvolta, di vivere intrappolati e restare vittime di una civiltà contadina che non esiste più. O meglio, che esiste solo nella piana del metapontino dove lo sfruttamento sistemico dei lavoratori migranti è dannatamente vero e presente.

Ed è per questo che una narrazione attuale, concreta, contemporanea ci è necessaria. A farci sapere che il tempo scorre e qui siamo vivi. Nel 2020 – anno zero del coronacene – il divario fra nord e sud si sarebbe dovuto colmare; o almeno così titolava Il Corriere della Sera il 13 settembre 1972, eppure così non è.

E come facciamo a sapere che allo scoccare dei 50 anni qualcosa è cambiato?

Le immagini, gli sguardi, l’osservazione puntuale del presente, potrebbero e dovrebbero aiutarci.

Una narrazione che possa sganciarci da una visione univocamente turistica dei luoghi che abitiamo, un modo di catturare il momento che racconti il vero e non il verosimile.

Un fotogramma autentico e che si possa coniugare con attuale.

Instagram ogni giorno ci racconta una Matera e una Basilicata che è accartocciata su se stessa e sul suo racconto e che ne esce mortificata, prostituita. E ogni tentativo di autenticità si fa feticcio, culto del dio dei like.

Assistiamo a racconti visivi rizomatici e istantanei, solo apparentemente alternativi.

Il bisogno di spazio

Quando ho parlato a Pierangelo di questa riflessione sul linguaggio visivo e sulla narrazione che vediamo oggi dei nostri luoghi e lui mi ha mandata a vedere Primordial – il suo lavoro per il Matera European Photography del 2017 – ho trovato nei suoi scatti tutto quanto avevo nella testa e nella scrittura.

Gli ho chiesto della sua ricerca fotografica in Basilicata e su come questa inglobi il concetto – quanto mai concreto – di rappresentazione della realtà. Una realtà vera, viva, presente.

Come rappresentare, quindi, la realtà

“La realtà è una ed è tutto quello che esiste. Anche l’inganno è reale nella misura in cui devi fare i conti con le sue conseguenze, pensiamo alle fake news e al peso così rilevante che hanno nel pensiero e nell’azione di ognuno.

Se gli uomini definiscono reali certe situazioni esse saranno reali nelle loro conseguenze, William Thomas

Ma se la realtà è una, allora, cos’è che ce la fa apparire diversa e, spesso, in modi così tanto diversi da sembrare inconciliabili tra loro? La sua rappresentazione, ovvero la sua traduzione in segni, simboli, figure, composizioni.

Anche la fotografia è una possibile forma di rappresentazione della realtà e tale rappresentazione dipende in prima istanza dall’osservatore, poi dai mezzi a sua disposizione per crearla, infine, dal rapporto specifico tra l’osservatore e la realtà.

In che senso dipende dall’osservatore?

Chi è. Chi è in quel preciso momento, cosa vuole dire, a chi, a che profondità d’animo riesce ad attingere, che grado di conoscenza ha della realtà che vuole rappresentare, che libri ha letto, che incontri ha avuto nel corso della sua vita, che vita ha avuto, che vita sta vivendo in quel momento, e ancora.

Quello che può accadere e credo sia accaduto a me, che ho scelto quale forma di rappresentazione della realtà la fotografia, è che una conoscenza profonda della sostanza di cui è composta una realtà – la Basilicata perché è la stessa sostanza di cui sono composto io – unita a tutto ciò da cui deriva una rappresentazione; può far sì che nel tempo possa aver creato la mia personale rappresentazione della realtà in cui vivo.

E che essa abbia un certo grado di profondità e di alterità rispetto ad altre possibili rappresentazioni, esogene e endogene.

Questo rapporto è continuo e si manifesta inevitabilmente tutte le volte che mi trovo a rappresentare questo luogo, per cui possiamo dire che sia l’anima comune delle mie fotografie realizzate in Basilicata, in momenti, contesti, luoghi ed epoche diverse.

Il bisogno di mettere insieme

Non è un caso che io abbia poi, ad un certo punto, sentito il bisogno di mettere insieme le fotografie in cui questa specifica rappresentazione si condensa e diventa più accecante rispetto alle altre, in una serie aperta e in corso chiamata Primordial – Basilicata Series.

«La luce è senza pietà. Il sole pare fermarsi in mezzo al cielo, i paesi lontani appaiono come vele sperdute in mare. Una terra remota come la luna, bianca in quella luce silenziosa, senza una pianta né un filo d’erba, tormentata dalle acque di sempre, svuotata, rigata, bucata.»

Così descrive la Lucania Carlo Levi nel libro che ha dato poesia a cose che non avevano neanche un nome.

Primordiali Immateriali Simbolici Magici Mitici

sono gli elementi che compongono il paesaggio di chi in quel paesaggio è nato.

Il territorio allora non è più solamente fatto di coordinate geografiche, la storia non è solamente quella ufficiale, le storie che contiene spesso non sono scritte da nessuna parte. La mappa che ti serve per muoverti ha inizio dentro di te e finisce dove finiscono i tuoi ricordi, quello che leggi per capire, per sapere, per conoscere, è come se lo leggessi sempre per la seconda volta, perché, anche se non sai quando, quelle parole le hai già sentite.

E le fotografie che fai per raccontarlo, a te, solo a te, dicono sempre più di quanto contengano, perché riesci a scorgere quello che è si nascosto dove è più nero o dove è più accecante, o dietro qualcosa o prendendo altre sembianze.

E se si tengono in mente quegli elementi, sono sicuro che ad ognuno sarà parso di vederli.”

“Mille anni che sto qui”

Non mille, ma tutto il senso del confine, del limite da non valicare e del tempo che scorre.
Nonostante tutto, nonostante noi.
Tutta la bellezza accecante del dimenticato, dell’inesistente e del silenzio.
Lembi di terra rotta, consumata, stracciata e rattoppata.
Tutta la meraviglia di angoli acuti, di spazi compressi.
Compressi come noi, che ci cerchiamo spazio, che a volte ci serve gridare forte per superarlo quel limite.
Per dire che qui esistiamo.

 

PH. Le immagini utilizzate sono di Pierangelo Laterza e fanno parte del lavoro Primordial – Basilicata Series.