Una delle più antiche specie della biodiversità animale d’Italia, che ha più volte rischiato l’estinzione nei secoli scorsi, è il suino nero lucano.
Grazie al lavoro ed alla passione di pochi allevatori e di alcune associazioni, è tornata in auge per peculiari caratteristiche: rusticità e resistenza a talune patologie; possibilità di essere allevate allo stato semibrado e qualità delle sue carni, che generano prodotti tipici particolarmente apprezzati per genuinità, bontà e ecosostenibilità.
Attraverso uno studio condotto presso l’Istituto per il sistema di produzione animale in ambiente mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli, pubblicato sulla rivista scientifica Reproduction in Domestic Animals, è stato
possibile individuare un gruppo di suini portatori di un’anomalia cromosomica, cioè la traslocazione reciproca.
Viviana Genualdo del Cnr, ha spiegato che questo tipo di anomalia risulta essere piuttosto comune nella specie suina, soprattutto, quando non c’è stata una selezione genetica forte da parte dell’uomo e, in modo particolare, nelle razze autoctone.
Infatti, essa non determina la variazione del numero dei cromosomi, ma solo il riarrangiamento del materiale genetico, con il risultato di soggetti fenotipicamente normali che possono maggiormente generare gameti sbilanciati, causa di aborti spontanei o embrioni con anomalie.
Succede così che gli allevatori selezionano i riproduttori solo sulla base di caratteristiche fenotipiche trascurando l’aspetto più importante, cioè quello genetico.
Lo studio è stato sviluppato dal Gruppo di citogenetica e genomica animale e hanno partecipato Angela Perucatti, Viviana Genualdo, Cristina Rossetti e Domenico Incarnato del Cnr, con la collaborazione di Alfredo Pauciullo dell’Università di Torino e Petra Musilova del Veterinary Research Institute di Brno (Repubblica Ceca), con la collaborazione del veterinario e allevatore lucano Domenico Mecca.
E’ emersa la necessità di procedere a screening genetici in modo da preservare sia la biodiversità animale che l’allevatore da eventuali perdite economiche.
L’effettuazione di test citogenetici, vale a dire esami rapidi, economici e non invasivi per l’animale, può consentire di rilevare i capi portatori di anomalie, escludendoli dalla produzione.
Tuttavia, è auspicabile una collaborazione più stretta tra i singoli allevatori, le associazioni di allevatori delle razze autoctone e i
ricercatori, al fine di sottoporre a screening genetici massivi queste razze, che rappresentano un patrimonio di biodiversità da non disperdere e che possono diventare uno stimolo alla crescita dell’economia delle aree interne del nostro Paese.