Pensieri di lungo periodo

di Roberto Moliterni

Ci risiamo.

Questo è ciò che ho pensato vedendo ieri una lunga fila di macchine al benzinaio e scaffali quasi vuoti di olio, farina e pelati nel supermercato del piccolo paese in cui vivo a Nord di Roma. Quando sono tornato dalla spesa, il benzinaio si stava ritirando prima dell’orario di chiusura. Aveva
appeso il cartello: «Finito tutto».

Per quelli della mia generazione, storie così esistevano solo nei ricordi degli adulti o nei film sulla guerra. Poi è arrivata la pandemia e ci siamo fatti un’idea di quel che significa non avere tutto sempre. Siamo andati a cercare il lievito nei posti più impensati, anche se quelle scorte di farina o
di lievito non ci sono mai servite davvero.

Adesso, il timore è che quello che abbiamo visto durante la pandemia non sia stata altro che un’esercitazione a quello che ci aspetterà nei prossimi mesi. Comunque vada, anche nell’ipotesi per noi meno drammatica – un conflitto che non coinvolga direttamente l’Italia – saranno mesi non facili, per costi e disponibilità delle risorse.

Noi che ci siamo abituati all’illimitatezza, a una vita in cloud – dove tutto è talmente disponibile sempre da poterci permetterci di non possedere niente ma chiedere quello che ci serve, quando ci serve: dai contanti al cibo alle canzoni – sapremo far fronte a queste ristrettezze?

Mi piace pensare – ma forse è solo un pensiero consolatorio e ingenuamente poetico – che, se sarà necessario, saprò pescare dal patrimonio della sapienza contadina lucana, che dell’oculatezza, dell’accumulo ragionato, del vivere senza eccessi ne ha fatto un’arte.

Sono forse i giorni in cui dovremo cominciare a interrogare i nostri nonni.